Il settore tessile è il terzo settore manifatturiero in Italia, dopo quello dei macchinari e quello automobilistico. Si tratta infatti di una delle eccellenze del Made in Italy, un settore che può vantare un’antica tradizione radicata nel territorio e diversi primati importanti: l’Italia è infatti il primo esportatore di prodotti tessili in Europa e terzo nel mondo dopo India e Cina.
Il settore manifatturiero tessile italiano è costituito da oltre 13.000 aziende, la maggior parte delle quali riferisce al finissaggio tessile e abbigliamento (18,7%) e al confezionamento di biancheria da letto, da tavola e per interni (18,3%). Significativa è anche la percentuale di aziende specializzate nella tessitura (13,7%), aziende di lavorazione delle fibre tessili (10,1%), aziende produttrici di materiali tessili (8,9%), aziende di ricamo (8,7%) e maglierie (4,5%). Sono poche, invece, le imprese di produzione di tappeti, di produzione di filati, cordami, funi e reti (1,3%), aziende produttrici di tulle, pizzi e merletti (0,8%) ed infine aziende industriali e tecniche (0,3%).
L’industria tessile italiana è localizzata principalmente nel Centro e nel Nord Italia: Nord Ovest (32,8%), Centro Italia (28,8%) e Nord Est Italia (18,4%). Il residuo 20% delle aziende analizzate è localizzato nel Sud Italia (16%) e nelle Isole (4%). A livello regionale, con un’incidenza del 23,5% e più di 3.000 imprese, la Lombardia è la regione con il maggior numero di imprese tessili. Seguono Toscana (21,8%), Veneto (9%), Piemonte (8,2%), Emilia-Romagna (7,2%), Campania (6,2%), Puglia (4,4%), Abruzzo (3,2%), Marche (3%), Sicilia (2,7%), Lazio (2,3%), Umbria (1,7%), Calabria (1,6%), Sardegna (1,3%), Friuli-Venezia Giulia (1,3%), Liguria (1%), Trentino-Alto Adige (0,9%), Basilicata (0,4%), Molise (0,2%) e Valle D’Aosta (0,1%). La distribuzione a livello provinciale, che segue sostanzialmente quella regionale, traccia la collocazione geografica delle aree industriali che hanno contribuito alla dimensione dell’industria tessile italiana: Prato (13%), Varese (4,8%), Milano (4,6 %), Pistoia (4%), Como (3,9%), Napoli (3,7%), Biella (3,4%), Modena (3,3%), Bergamo (2,8%), Firenze (2,4%), Torino (2,3%), Brescia (2,2%), Padova (2,2%), Vicenza (2,1%), Treviso (2%), Monza e Brianza (1,8%) e Perugia (1,6%).
La competitività dell’industria tessile italiana nel mercato internazionale è dovuta principalmente agli investimenti in innovazione, specializzazione del prodotto e sinergia tra filiera e commercio al dettaglio. In particolare, i mercati principali sono sia quelli tradizionali (Europa, Stati Uniti, Giappone e Russia) che quelli emergenti, come il mercato cinese. Il grado di internazionalizzazione del dipartimento è decisamente buono: il 23,5% delle aziende ottiene un punteggio elevato, il 23,2% supera la media, 14,6% un punteggio medio e 4,4% un punteggio basso.
Al contrario, il livello di innovazione delle imprese tessili italiane è moderato: il 38,6% di tutte le aziende riceve un punteggio di innovazione basso, il 21,2% un punteggio inferiore alla media, il 13,6% un punteggio medio, il 12,5% un punteggio sopra la media e il 5% invece detiene un’elevata propensione innovativa.
Secondo la forma giuridica accettata, il settore è caratterizzato da una massiccia presenza di imprenditori privati (41,3%) e Società di Capitale (40,9%). Soprattutto tra queste ultime è presente una quota significativa di S.r.l. (30,3%). Seguono le società di persone con il 17,3% e altre forme di attività con lo 0,5%.
In termini occupazionali, il numero delle persone occupate nel settore tessile italiano è aumentato negli ultimi tre anni: erano più di 88.000 gli addetti a dicembre 2022 (2% rispetto al 2021 e 3,8% rispetto al 2020). Nello specifico, circa un’impresa tessile su due, il 55,1%, impiega non più di due dipendenti, mentre il numero medio di addetti si aggira intorno alle 6,5 unità. Infine, concentrandosi sull’anzianità aziendale, dal punto di vista demografico emerge un settore relativamente giovane e in costante crescita. Infatti, circa un terzo delle imprese tessili italiane, complessivamente 33,1%, sono state fondate nell’ultimo decennio (13% dal 2012 al 2017 e 20,1% dal 2018 ad oggi).
Dal punto di vista del rischio, il settore è noto per la sua sicurezza finanziaria e commerciale piuttosto bassa. Tra le aziende tessili per le quali sono disponibili informazioni, il 14,7% ha un indice di rischio minimo è il 27,6% ha un indice di rischio inferiore alla media. Le altre realtà aziendali hanno per il 45,7% indici di rischio superiori alla media e per l’8,1% indici di rischio massimo.
Nonostante le difficoltà causate dalla crisi che ha gravato sul Made in Italy in generale, le imprese tessili italiane sono in ripresa: dopo un calo (2020-2019 -15,8%), il fatturato del settore è tornato a crescere (25% nel periodo 2020-2021). La media del fatturato nel settore è di 1,6 milioni di euro. Nello specifico, il 7,7% delle aziende ha fatturati compresi tra 100.000 e 499.999 euro, il 4,8% tra 500.000 e 999.999 euro, il 10% tra 1.000.000 e 4.999.999 euro, il 3% tra 5.000.000 – 9.999.999 € e il, 3,2% tra 10.000.000 e 49.999.999 euro. Solo lo 0,5% riesce a superare i 50 milioni di euro, mentre il restante 5% detiene fatturati inferiori ai 100 mila euro.